venerdì 20 gennaio 2012

EQUO INDENNIZZO, INDENNITA’ DI ORDINE PUBBLICO E QUALIFICA DI AGENTE DI P.S. PER IL PERSONALE DELla POLIZIA LOCALE


EQUO INDENNIZZO, INDENNITA’ DI ORDINE PUBBLICO E
QUALIFICA DI AGENTE DI P.S. PER IL PERSONALE DELLA
POLIZIA LOCALE: STATO DELLA LEGISLAZIONE E PROFILI
DI ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE
___________________
1) Premessa
La definizione più accreditata dell’equo indennizzo si individua nel considerarlo un
integrità fisica per una causa di servizio
Questo istituto esordisce nell’ordinamento giuridico italiano con il Testo Unico approvato
mediante D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, che lo contempla formalmente all’art. 68. Da quel
momento, quindi, viene conferito alle Pubbliche Amministrazioni un insieme di funzioni
(poteri-doveri) – sottoposto, conseguentemente, al controllo della Corte dei Conti – separato
ed autonomo dalle competenze degli Enti assicurativi e previdenziali, in rapporto al
verificarsi di infortuni o all’insorgenza di patologie lesivi della salute del pubblico
dipendente determinati (o connessi) al accertate cause di servizio.
E’, peraltro, nota la lunga disputa dottrinale circa la
che, da alcuni, è ravvisata in termini di mero
diversa interpretazione, esso vanterebbe un carattere prettamente
risarcitorio o, ancor meno, retributivo. A sostegno di quest’ultima posizione militerebbe,
infatti, la sua
escluderebbe automaticamente l’altro – suffragata da (relativamente) recente giurisprudenza
del Supremo Collegio (Cassa. Sez. Unite, sent. 14 dicembre 1999, n. 900 e Cass. Civ. Sez.
Lavoro, sent. 19 aprile 2000, n. 5160).
Ulteriore conferma di tali tesi si avrebbe, poi, dall’esclusione dell’equo indennizzo dalle
categorie dei redditi imponibili ai fini dell’IRPEF, laddove la sua certa e radicale
beneficio economico che spetta al dipendente (civile o militare) che abbia perso la propria”.natura giuridica dell’equo indennizzorisarcimento del danno, mentre, secondo unaindennitario, anzichécumulabilità con il ristoro del danno vero e proprio – in caso contrario, uno
non-cumulabilità
precluderebbe, in assoluto, la valenza risarcitoria, seppur nell’ambito di un regime e di una
qualificabilità particolari. Per lo più, tuttavia, trattasi di questioni essenzialmente teoretiche.
Peculiare interesse, invece, suscita la relazione intercorrente tra equo indennizzo e pensione
privilegiata, sia perché, nella originaria configurazione dei due istituti, la concessione del
secondo comporta una consistente decurtazione del primo (il 50% del suo importo) qualora
fosse egualmente riconosciuto al medesimo dipendente, sia in ragione della comunanza, o,
meglio, dell’identicità dei loro presupposti, ossia
riconoscimento della sussistenza)
di patologie professionali e, in specifico, della
una rilevanza, giuridica ed ancora prima scientifica di notevole entità.
Infatti, diversamente dalle caratteristiche e dalle conseguenze dell’infortunio, la cui
diagnostica e la correlativa quantificazione si palesano, salvo rari casi, di obiettivazione non
problematica, le malattie professionali esprimono sovente gravi difficoltà. Segnatamente in
tema di accertamento del nesso causale, ove si sia in presenza di quadri patologici ancora
oscuri alla medicina ufficiale.
Al riguardo, gli esempi e la casistica di maggior rilevanza è costituita, ovviamente, dalle
malattie oncologiche, le cui cause – se si eccettuano sindromi ritenute, ormai pacificamente,
determinate dall’incidenza di specifici fattori ambientali, chimici, inquinanti o, più
recentemente, elettromagnetici e radioattivi – è di difficile interpretazione, soprattutto
quando possa individuarsi o, quantomeno, ipotizzarsi una loro dipendenza da traumi
psichici o psicofisici “predisponenti” all’insorgenza di tali affezioni.
Ora, deve sottolinearsi che, proprio grazie all’intervento (obbligatorio) della Corte dei
Conti, presso la quale sono istituite Commissioni (e Sezioni) specializzate, in tema di equo
indennizzo e pensioni privilegiate, è maturata, nel corso egli anni, una cospicua
giurisprudenza di legittimità che ha colmato molte lacune in queste materie, con l’effetto di
estendere l’applicabilità del “beneficio economico” a situazioni altrimenti escluse dalla
tutela indennitaria perché non coincidenti con i parametri adottati nei confronti delle
malattie di più certa origine.
Ciò devesi, d’altronde, alle prerogative della Giurisdizione contabile ovvero la terzietà e la
sovraordinazione dell’organo decisionale rispetto alle parti in causa ed ai loro interessi
soggettivi per cui l’obiettività e, non in ultimo, la completezza e rapidità della valutazione
dalla Corte sono da ritenersi difficilmente surrogabili dall’operato degli Enti assicurativi e
previdenziali (privati e privatizzati) e dagli ordinari meccanismi dalla giustizia civile.
Per quel che concerne la “storia” dell’equo indennizzo e della pensione privilegiata, va
osservato che le successive modifiche ed integrazioni intervenute sulla normativa del T.U.
non hanno alterato la sostanzialità di codesti istituti. Anzi, per molti versi, dalle altre fonti
legislative sono venuti ulteriori consolidamenti del loro regime giuridico, così come si
ravvisa nel testo del D.P.R. n. 915/78 che reca più organiche Tabelle inerenti le categorie
delle cause di servizio ed il Regolamento contenuto nel D.P.R. 20 aprile 1994, n. 349,
nonché il D.P.R. 20 ottobre 2001, n. 461, cui devesi l’introduzione di una disciplina più
articolata dei procedimenti relativi alla domanda di riconoscimento della causa di servizio
ed alla richiesta di equo indennizzo.
Inoltre, da molto tempo, si è dato luogo ad una più esauriente definizione delle procedure
accertative dell’aggravamento delle infermità patite dal dipendente insorte successivamente
alla concessione dell’equo indennizzo .
Invero, i primi segnali di una riduzione della sfera applicativa dell’istituto, si colgono nella
revisione della sua base di calcolo (Legge Finanziaria del 2006) dalla quale si prescrive
l’esclusione di qualsivoglia voce diversa dal solo stipendio tabellare.
Di lì a poco, il (famigerato) “comma 555” della legge Finanziaria 2007 elimina le spese di
cura (compresi i ricoveri in istituti sanitari e per protesi), lasciando invariate solo quelle
relative alle cure balneo-termali, idropiniche e inalatorie, per i dipendenti pubblici con
l’unica eccezione di quelli appartenenti alle Forze armate e di polizia o al Corpo dei Vigili
del Fuoco per menomazioni/infermità conseguenti “
nell’espletamento di servizi di polizia o di soccorso pubblico, ovvero nello svolgimento di
attività operative o addestrative, riconosciute dipendenti da causa di servizio
Tuttavia, l’ultimo inciso del comma 555 pareva lasciare un barlume di speranza all’“altro”
universo dell’(ex) Pubblico Impiego prescrivendo (con una frase, peraltro, non proprio
chiarissima) che “
collettivi nazionali o da provvedimenti di recepimento di accordi sindacali
gli interessati o i rappresentanti delle associazioni sindacali cui costoro hanno aderito sono
firmatari di contratti, possono godere ancora delle vecchie guarentigie (e, naturalmente, per
il residuo periodo di vigenza degli accordi stessi), mentre per il restante, la decadenza dei
benefici è immediata.
Nel frattempo, erano state anche introdotte diverse restrizioni: l’equo indennizzo veniva,
infatti, ridotto del 25% o, addirittura, del 50% qualora il dipendente avesse superato il
cinquantesimo o il sessantesimo anno d’età.
In secondo luogo, si stabiliva una “percentuale riduzione” nei casi di riscossione di somme
percepite da assicurazioni a carico dello Stato e della P.A. o, persino, da società assicurative
(private) in base a polizze stipulate da “terzi responsabili”.
Infine, il Decreto Monti (o Salva-Italia) del 6 dicembre 2011,
con un tratto di penna!) l’intera sistema previgente dell’equo indennizzo, della pensione
privilegiata, del rimborso delle spese di degenza per causa di servizio e, addirittura,
stesso accertamento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio
personale appartenente a pubbliche amministrazioni, salvo determinate e tassative eccezioni.
con un’eventuale rendita INAIL per malattia professionale non nel’accertamento (e, quindi, ildella causa di servizio la quale, segnatamente in ambitogenesi morbigena di queste ultime, assumea ferite o lesioni riportate”.Resta ferma la vigente disciplina in materia, prevista dai contratti”. Come dire: sesopprime (è il caso di dire,loper tutto il
2) L’art. 6 del Decreto-Legge n. 201/2011 e l’esclusione delle Polizia Locale
dall’elenco delle categorie rimaste in regime di equo indennizzo e pensioni
privilegiate
Come dianzi indicato, la normativa “salva-Italia” ha cancellato il vigente impianto delle
indennità derivanti da causa di servizio per tutti i dipendenti pubblici, esentando dall’esito di
siffatta abrogazione unicamente “il personale appartenente al comparto sicurezza, difesa,
vigili del fuoco e soccorso pubblico” (art. 6, comma primo).
In realtà, per certi versi, la “manovra” in oggetto sembrerebbe porsi in rapporto di continuità
(e definitività!) con le disposizioni del succitato “comma 555” di quattro anni prima, che
aveva già inferto un pesante “vulnus” ai benefici concedibili alle vittime di infermità e
menomazione connesse al servizio espletato dai pubblici dipendenti, mentre, per altri profili,
la radicalità del “taglio” lascerebbe intendere di trovarsi a cospetto di una vera e propria
“rivoluzione” nel settore risarcitorio e/o previdenziale attinente, in veste di legislazione
speciale, ai lavoratori delle PP.AA.
Peraltro, va osservato che propriamente le eccezioni ivi contenute e dettagliate, rimontano
non soltanto alla prefata Legge Finanziaria 2007 ma affondano le loro (discriminatorie)
radici nelle disposizioni (e nell’ideologia) del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, comunemente
conosciuto come “Legge Amato”, che, all’art. 2, quarto comma, sancivano la permanenza
nel regime contrattuale pubblicistico di un certo, limitatissimo, novero di (super-) categorie
inquadrate nel Pubblico Impiego, ossia: a) magistrati ordinari, amministrativi e contabili; b)
avvocati e procuratori dello Stato; c) personale militare; d) personale delle Forze di polizia
dello Stato
svolgono attività in particolari ambiti bancari e creditizi; g) professori e ricercatori
universitari (in via provvisoria).
Balza subito evidente, però, che nell’art. 6 del Decreto Monti le categorie “sopravvissute”
restano limitate a quelle di cui ai punti d) ed e) del D. Lgs. 29/93, alle quali si aggiungono i
Vigili del Fuoco (nel frattempo, transitati nel Comparto Sicurezza che, a sua volta,
ricomprende attualmente anche il personale della Guardia Costiera) e gli addetti ai compiti
di soccorso pubblico (Protezione Civile o anche medici o paramedici ospedalieri?).
In buona sostanza, perciò, anche diplomatici, prefetti, magistrati, e c., risulterebbero espulsi
dall’ambito di applicabilità delle norme sull’equo indennizzo e la pensione privilegiata; il
che, se spiegherebbe (secondo opinioni malevoli!) la singolare assenza di esponenti del
mondo giudiziario dalla compagine governativa “tecnica” (un dispetto alla Corporazione dei
magistrati?), non di meno rende assai poco credibile che le categorie, a suo tempo
“giubilate” dallo statista (e statalista, oltreché assai poco amico della Polizia Locale!)
Giuliano Amato, vengano sottoposte al regime ordinario degli impiegati del catasto o dei
bidelli di scuola e deprivati di quelle provvidenze, appellandosi, magari, ai propri
Ordinamenti speciali (e castali) ed alle funzioni di alta amministrazione, di giurisdizione e
politica estera di cui sono titolari.
La situazione maggiormente svantaggiata compete, potrebbe dirsi, ovviamente, al personale
dei Corpi e servizi della P.L. anche se, allo Stato della legislazione sembrerebbe lecito
operare qualche distinguo.
Infatti, sempre restando nella comparazione tra la Legge-Madre (il D.Lgs. 29/93 e la sua
filiazione, rappresentata dal D.Lgs. 165/2001) che ha espulso dal regime pubblicistico ogni
struttura di polizia che non fosse “
originario dell’art. 2 solo per aggiungervi quella locuzione “specificativa” ed esorcizzare
eventuali intromissioni della P.L. nell’elenco delle eccellenze!”), l’art.6 del Decreto Monti
precisa scrupolosamente che le abrogazioni stabilite al primo periodo della disposizione
stranamente il termine “polizia” (o Forze di polizia).
A questo punto, emerge, legittimamente, qualche dubbio interpretativo: diversamente dal
testo del “comma 555” della Finanziaria 2007 che si prodigava a formalizzare – e, quindi, a
circoscrivere – le varie ipotesi infortunistiche e traumatologiche ricollegabili ai compiti
d’istituto di Forze armate e polizia (“ferite o lesioni riportate nell’espletamento di servizi di
polizia o di soccorso pubblico, ovvero nello svolgimento di attività operative, riconosciute
dipendenti, ecc.”), l’art. 6 cit. appare eccessivamente generico tanto che, se presa alla
lettera, tale genericità porterebbe ad estendere la conservazione di tutti i previgenti benefici
anche a favore di fasce impiegatizie (es. i dipendenti civili dell’Amministrazione della P.S.,
i funzionari degli Istituti penitenziari, gli esecutivi della Difesa e degli Interni) non
esplicanti alcuna vera attività di ordine pubblico, pubblica sicurezza e servizi esterni di
peculiare rischiosità ma rientranti, a vario titolo, in strutture inglobate nel Comparto(ne)
Sicurezza.
Altra ed ancor meno comprensibile stranezza, ravvisabile nell’art. 6 è quella di aver
specificato, nell’ultima versione della disposizione, la presenza (nominativa) dei VV.FF.,
che, invece, dovevano intendersi già ricompresi nella nozione di comparto di sicurezza,
senza alcuna necessità di indicarli separatamente da quello, mentre nella prima versione
dell’articolo (ed a buona ragione) essi non erano menzionati in forma autonoma.
Questi ghirigori portano a ritenere che l’esercito degli esentati (fruitori potenziali di equo
indennizzo e pensioni privilegiate) tenderà ad ingrossarsi a dismisura, grazie alla ormai
sperimentata estensione anche al personale “civile” degli uffici e dei dipartimenti degli
Interni (nonché dei ministeri della Giustizia e delle Politiche Agricole o titoli similari, e
delle stesse strutture già smilitarizzate o smilitarizzande dell’accoppiamento Ministero delle
Finanze-Agenzia delle Entrate) del modello onnicomprensivo del Contratto di Polizia.
Non solo: scomparendo le “specifiche” della Finanziaria 2007, lo stesso personale
inquadrato nei vari livello della Polizia di Stato, della GdF, del Corpo Forestale dello Stato,
ecc. (cioè, in divisa), seppur adibito, temporaneamente o stabilmente, a servizi di polizia
amministrativa (rilascio passaporti, licenze di porto d’armi o caccia, controlli su pubblici
esercizi e, ovviamente, attività di vigilanza tributaria, fiscale e così via), sembra chiaramente
destinato ad usufruire di codesti benefici indennitari.
E, sotto questo profilo, l’enucleazione dei VV.FF. dal più ampio (e generale) contesto del
Comparto Sicurezza si rivelerebbe non casuale, né frutto di una svista, bensì indicherebbe
che l’intera pianta organica del Corpo e uffici annessi possa continuare a godere dei benefici
in questione anche se trattasi di personale che non ha mai visto un incendio (salvo che da
passante) o ha mai partecipato ad un intervento di soccorso per calamità sismiche o
idrogeologiche.
Tutte queste, attuali o virtuali, eccezioni al rigoristico regime introdotto dal Decreto Monti –
ovvero una vera e propria controrivoluzione che ha azzerato le conquiste dei lavoratori della
P.A. dopo ben cinquantasei anni dal loro conseguimento! – acuiscono ed esasperano la
discriminazione di trattamento subita dal personale della P.L.
In questo caso, si è ritenuto, infatti, sufficiente introdurre la barriera (o , se si preferisce, la
recinzione) rappresentata dal richiamo al Comparto Sicurezza – che, peraltro, il “comma
555” della Finanziaria 2007 non menzionava, parlando solo di “
uno spiraglio anche per la P.L. – per nullificare la questione, altrimenti fondamentale, delle
funzioni di polizia giudiziaria, pubblica sicurezza e polizia stradale che le assegna la
Legislazione statale, ovvero la L. 7 marzo 1986, n. 65, mediante il consueto espediente della
diversità di Comparto di appartenenza.
Ora, premesso e richiamato che quelle funzioni (estese, istituzionalmente, a tutto il
personale che non comprende impiegati “civili” come per i Dipartimenti della Pubblica
Sicurezza, dei Forestali o dei Vigili del Fuoco) hanno la loro fonte normativa in leggi
ordinarie, il meccanismo della delega statale ai Comuni e Province, non ne altera certo la
natura giuridica.
Per stare al concreto, quando un agente locale esegue un arresto, un sequestro probatorio ed
un fermo di indiziato di delitto, nessuna norma gli impone obblighi e poteri diversi da quelli
di ogni altro operatore o ufficiale di p.g. sol perché trattasi di funzioni delegate dallo Stato
all’Ente Locale, né gli interessati (sottoposti ad arresto o fermo) o semplici passanti
potrebbero sollevare obiezioni in ordine alla legittimità dell’intervento, adducendo la
motivazione che quest’ultimo deriva da una delega statale a personale dipendente
dall’amministrazione comunale, provinciale ed enti assimilati.
Del resto, come ribadito da cospicua giurisprudenza civile, penale ed amministrativa, le
funzioni conferite alla P.L. vantano una loro pienezza e conformità assoluta all’ordinamento
giuridico vigente (ivi comprese le leggi speciali!), tanto da attribuire alla P.L. anche la
qualità di Forza Pubblica, nei termini stabiliti da recenti pronunce della Cassazione.
Con simili presupposti, allora, l’equazione (e la proporzionalità) Funzioni-Rischi si
ripropone integralmente, inficiando di grave sospetto di illegittimità l’art. 6 del decreto per
violazione del
; e) personale della carriera diplomatica e prefettizia; f) dipendenti degli enti chedello Stato” (si arrivò alla follia di mutare il testonon si applicano al personale appartenente al comparto sicurezza”. Manca, però,forza di polizia” e lasciandoprincipio di ragionevolezza e più latamente, di quelli di eguaglianza e
non-discriminazione
trattamento giuridico (ed economico) diversificato che viene, così, riservato a soggettività
alla pari quanto a titolarità ed esercizio di funzioni e qualifiche (pubbliche).
E vi sarebbe, finanche, da presumere che l’insistenza posta dal Decreto sul discrimine
dell’appartenenza al Comparto di Sicurezza, sia motivata, in tutto o in parte, propriamente
dalla finalità di riaffermare l’estraneità della P.L. dalla nozione stessa di Polizia,
riproducendo, ancora una volta, le identiche svalutazioni e dequalificazioni che hanno
animato la pseudo-riforma del Titolo V della Costituzione (la polizia
ex art. 3 della Costituzione, registrandosi un tipico esempio diamministrativa
locale), le leggi “Bassanini” e, via via, fino ad arrivare alle “epocali” proposte Massa-
Barbolini-Saia.
A tal proposito, nel tourbillon provocato dall’avvento del Governo dei Tecnici, dalla
manovra salva-italia (ma non salva-italiani), ecc., un evento, a dir poco curioso ed inatteso,
si è verificato con la veemente presa di posizione della CGIL avverso i DdL. Barbolini e
Saia che vengono ora imputati di non aver evitato l’abrogazione dell’equo indennizzo per la
P.L., dopo anni (o decenni) di appoggio incondizionato che i sindacati confederali avevano
tributato a costoro.
Orbene, a prescindere dai veri motivi di tanta (postuma e fuori tempo massimo) acrimonia, è
appena il caso di osservare che codeste associazioni si sono costantemente opposte ad ogni
ipotesi di transito della P.L. nel Comparto Sicurezza, con i pretesti più vari (la P.L. non è il
clone delle altre polizie, non si vuole affermare il contratto collettivo pubblicistico, ecc.),
ovvero ci si è ostinatamente battuti per la permanenza nel Comparto Enti Locali – vera
causa delle attuali disposizioni di Monti – insorgendo, adesso, per i (semplici) effetti di
quelle scelte. Anzi, pare che dovesse attendersi l’arrivo di Monti per accorgersi dei danni,
provocati e provocabili, alla categoria dal suo inscatolamento nella galassia dei dipendenti
degli EE.LL. e dalle Grandi Promesse di Barbolini & soci i quali, uniformemente,
predicavano l’assoluto mantenimento della P.L. in quel Comparto con il “temperamento”
nel tavolo (e delle sedie) separati!
Non di meno, la lesione dei diritti, soggettivi e collettivi, determinata dall’espulsione della
P.L. dalla sfera applicativa dei suddetti benefici si rivela devastante.
E ciò, in particolare, non riguarda soltanto la perdita del diritto all’equo indennizzo, bensì,
in forma ancor più grave, colpisce quello alla pensione privilegiata giacché, se il primo
consiste nel versamento di una somma pari a due volte l’importo dello stipendio tabellare
(prima categoria), ovvero in proporzione decrescente (dalla seconda all’ottava categoria), la
seconda consente di ottenere il trattamento di quiescenza indipendentemente dal
raggiungimento dell’età pensionabile quindi anche molto prima del compimento dell’età
anagrafica o degli anni minimi di servizio necessari al pensionamento ordinario, a seguito
della inabilità al lavoro determinata dalla causa di servizio.
È, allora auspicabile la sollecitazione, possibilmente tempestiva, dell’intervento della Corte
costituzionale affinché questo ennesimo attacco ai diritti e interessi legittimi della categoria
trovi la sua giusta soluzione.
3) Indennità di pubblica sicurezza e indennità di ordine pubblico
Come è noto, il solito Giuliano Amato non si preoccupò soltanto di estromettere la P.L. dal
novero delle categorie rimaste in regime contrattuale pubblicistico ma procedette a
“giustiziare” l’indennità di pubblica sicurezza che la L.65/86 (artt.10 e 13) assegnava agli
addetti al servizio di polizia municipale seppur nella misura ridotta all’80% dell’importo di
quella percepita dal personale della Polizia di Stato ai sensi dell’art. 43, terzo comma,
L.121/81.
Infatti, l’art. 73, terzo comma, del D.Lgs. 29/93 dispone la integrale abrogazione di quegli
articoli.
Da quel momento, peraltro, la questione indennitaria della P.L. ha sortito una sorta di
frammentazione, sia nominativa che di importi, da parte delle singole amministrazioni locali
ed anche quando si è affermato il criterio di istituire una “indennità di polizia locale”,
omnicomprensiva, lo sganciamento dai parametri (e dall’evoluzione) dell’originaria
indennità di p.s. ha causato l’instaurazione di situazioni sperequative (sul piano degli
importi) da Comune a Comune e da Ente a Ente ma, soprattutto, ha privato la P.L. della
titolarità di un emolumento corrispondente alla natura delle funzioni (di p.s.) svolte.
Naturalmente, anche da questo profilo, nessun recupero o rimedio è venuto dalle proposte di
riforma dianzi ricordate, confermandosi, in buona sostanza, il sistema adottato in via di
prassi amministrativa.
Eguale disconoscimento, d’altronde, è stato riservato alle stesse qualifiche “fondative” di
quella indennità poiché, se la maggior parte delle proposte in discorso toglievano l’aggettivo
di “ausiliarie” alle funzioni di p.s. espletate dalla P.L., tutte si guardavano bene dall’istituire
la figura (e il ruolo) dell’Ufficiale di Pubblica Sicurezza lasciando, così, “orfani” gli Agenti
dei loro naturali superiori.
Questo balletto – che si riflette su vari altri gravi problemi come l’armamento del personale
per fini di difesa personale – ha iniziato a subire segni di cedimento solo in epoca recente, in
concorrenza di due fattori essenziali: il primo è consistito nella sequela di iniziative operate
da singole prefetture, di concedere alle quote di personale poste a disposizione dell’Autorità
(statale) di polizia, l’indennità di ordine pubblico.
Il secondo ha, invece, riguardato l’affermarsi di nuove interpretazioni della “ausiliarità”
della qualifica di p.s. data alla P.L. che ne mutuano – in virtù della sua natura accessoria,
rispetto ai compiti istituzionali – la volontarietà del conferimento (e dell’accettazione) e,
quindi, la sua rinunciabilità a totale discrezione e scelta del dipendente.
Per inciso, anche la questione immediatamente discendente dall’attribuzione di tale
qualifica, ovvero la dotazione dell’arma da fuoco e di altri strumenti offensivi/difensivi, è
stata recentemente inquadrata nel medesimo ambito della facoltatività e della volontarietà,
alla pari del porto d’armi (per difesa personale) del privato cittadino che può chiedere (ma al
quale non può imporsi) la relativa licenza.
Ora, nel mutato clima della gestione dell’ordine pubblico, che mirerebbe ad ottenere, in via
anche continuativa, la partecipazione di contingenti della Polizia Locale agli ordini del
Prefetto e del Questore – laddove, la L.65/86 ammette codeste “precettazioni” solo in casi
eccezionali e, soprattutto, momentanei (art. 3) – gli organi statali hanno ritenuto
incentivante l’“offerta” dell’indennità di o.p. al suddetto personale.
La qualcosa suscita non pochi interrogativi, sia di opportunità che di legittimità. Intanto, non
si comprende la compatibilità tra l’elargizione di un tipo di indennità la cui denominazione
(come detto e ripetuto in molte sedi) richiama una funzione preclusa agli EE.LL. per
assoluta riserva allo Stato (art. 117 Cost.).
In secondo luogo, la stessa indennità dovrebbe presupporre il possesso di funzioni piene di
p.s., nonché, ovviamente, la previsione e corresponsione di un’indennità egualmente
intitolata (che, invece, Amato ha soppresso).
Quanto agli aspetti economici, l’importo fissato dall’art. 10, D.P.R. 18 giugno 2002, n. 164
(Contratto Nazionale delle Forze di Polizia ad ordinamento civile) di Euro 13 (o qualche
frazione in più) per un turno-standard di quattro ore continuative, appare decisamente privo
di convenienza considerato che l’emolumento si esaurisce nella consegna di tale somma e
non apporta vantaggio di stato giuridico o pensionistico.
Viceversa, gli effetti potenzialmente (e prevedibilmente) negativi che possono derivare
dall’espletamento di consimili funzioni sono molteplici.
Intanto, diversamente da quanto stabilito per il personale della Polizia di Stato e Corpi
(contrattualmente) omologhi, non sembrano applicabili (o, almeno, nessuno ne ha, finora,
garantito, in via formale, l’applicazione) agli “ausiliari” delle norme di cui al D.P.R. 19
novembre 2003, n. 348 e dei D.P.R. 16 maggio 1999, n. 254 e 31 luglio 1995, n. 395 in
tema di a) tutela assicurativa; b) tutela legale per eventi lesivi subiti dal dipendente; c) tutela
legale per fatti di cui il dipendente sia responsabile.
Considerandosi, dunque, che il suddetto personale di P.L. potrebbe essere indotto a prestare
quel tipo di servizio con porto (ed uso) dell’arma, la “scopertura”, sia assicurativa che
legale, da parte dello Stato e, per certi versi, anche dell’Ente di appartenenza (non esiste una
polizza assicurativa stipulata dal Comune che preveda eventi dannosi provocati a terzi per
impiego delle armi), renderebbe l’operatore “precettato” in balìa degli eventi e dell’obbligo
di risarcire personalmente i danneggiati.
4) Conclusioni
A metà dello scorso dicembre, presso vari grandi Comuni è stato distribuito il decalogo
delle buone maniere per gli operatori della Polizia Locale.
Contestualmente, le rispettive scuole di aggiornamento del personale (proprie all’ente o
appaltate da istituti privati) hanno avviato complicatissimi corsi di “gestione del conflitto”
nell’ambito di rapporti con l’utenza stradale e altro.
L’involontaria comicità di siffatte iniziative – a fronte di così gravi lesioni dello status dei
lavoratori di P.L. – non riesce a nascondere, tuttavia, il ripetersi delle consuete litanie sulla
trasformazione del Vigile in assistente sociale, guida turistica, ecc., che non escludono, anzi,
vengono spacciate per elevazioni di rango e prestigio istituzionale, l’utilizzo del personale
come portatori d’acqua delle altre polizie.
D’altra parte, i patti, contratti, accordi e simposi per la sicurezza tutto contemplano salvo
una redistribuzione di competenze tra autorità centrali e locali (anche se, poi, i costi
vengono scaricati sui Comuni firmatari) che rispetti le reciproche
annuncia il ripristino dei militari in città purché la P.L. resti … dov’è, ossia impegnata in
compiti amministrativi laddove, persino la viabilità le viene gradualmente sottratta e
soppiantata dagli ausiliari del traffico, dalle telecamere, videocamere e rilevatori automatici.
Da quest’ottica, ben si comprende che il prof. Monti e i suoi tagli non rappresentano che un
mero anello della catena che strangola l’istituzione locale, anche e soprattutto, nelle sue
strutture “di punta”, qual è indubbiamente la Polizia Locale se non altro perché è l’unico
organo comunale (e provinciale) ad essere governata da una propria legislazione, per di più,
ordinamentale.
Ciò, naturalmente, nulla toglie alla rilevanza delle tematiche qui sommamente accennate che
vanno affrontate con tempestività nelle giuste sedi parlamentari e giudiziarie.
E, infine, se non tutto il male (e ce n’è tanto!) vien per nuocere, è auspicabile, almeno, che
le nequizie dell’art. 6 del Decreto “salvifico” offrano l’occasione per visualizzare la vera
natura ed i veri scopi di tante “riforme” e di altrettanti irresponsabili entusiasmi.
___________________
Prof. Avv. Nicola COCO
Docente di Diritto Pubblico presso
il Dipartimento di Scienze Giuridiche
dell’Università di Roma “La Sapienza
http://www.ospol.it/UserFiles/File/EQUO%20INDENNIZZO%20Prof_%20Coco.pdf
autonomie e già si

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